Cammino scalza sul muretto a secco che ruota tutt’intorno ed io seguo il percorso. Mi rilassa, gioco a fare la funambola, alzo le braccia in aria e respiro lentamente. Le pietre sotto i miei piedi, mi provocano un brivido piacevole e il vento rinfresca i pensieri assonnati da un caldo pomeriggio di luglio. Non odo nulla, solo il suono delle foglie. Continuo a camminare e a pensare, non capita tutti i giorni di provare pace dentro di me. Farò in modo che questo piccolo momento passi meno in fretta di altri, andati via senza che niente mi rimanesse dentro. Ho una foto di quando ero piccola, seduta proprio davanti quel rudere che ora è quasi inesistente. Ero felice perché toccavo la terra rossa e le mie mani cicciotte cercavano di prendere una coccinella. Mia madre aveva lunghi capelli e un fisico da urlo, mio padre era magro e con un baffo prepotente. Era il 1978. Oggi nulla è uguale a ieri, tranne Lei: la Quercia Vallonea che riscalda il cuore al mio borgo natio. Sono a Tricase e questa meraviglia mi culla ancora. Scendo dal muretto a secco con un salto e i miei piedi atterrano su di un manto di erba secca. Cammino fino ad arrivare alla corteccia e accarezzo le grandi braccia che si diramano da ogni lato. Questo amo di Lei. Protettiva e orgogliosa di quel pezzo di terra che le rimane attorno: da un lato la strada che porta al mare, dall’altro quella che porta a Palazzo Gallone. È sola al centro, ma sembra divertita e ogni volta che qualcuno le passa vicino, saluta con ogni sua foglia a disposizione. “Sono qui”, sembra dire, ed effettivamente con i suoi novecento anni, può permettersi di essere spavalda. L’abbraccio e mi siedo per terra con la testa appoggiata a una delle sue immense radici, ed è come se scomparissi. Sono una formica in confronto… ma oggi qui con lei, come trentacinque anni fa, non ho più paura.
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